lunedì 26 marzo 2012

L'associazione "Crescere insieme" e i suoi splendidi obiettivi.

Costruire un progetto di vita ai figli con la sindrome di Down: questo l'obiettivo dell'associazione "Crescere insieme"

Crescere non è mai facile. Soprattutto quando l’integrazione nel sociale e il raggiungimento di una vita indipendente non sono qualcosa di scontato, ma il frutto di quotidiane e impegnative conquiste. Ne sanno qualcosa Sabrina Marchetti, Riccardo Bianchi e Barbara Zangheri, genitori di tre figli con la sindrome di Down: Alex 18 anni appena compiuti, Matilde 9 anni e Matteo 13 anni. Accomunati dalla stessa esperienza di vita, hanno deciso di mettere in piedi l’associazione di volontariato “Crescere insieme”. A parlarcene, con la consapevolezza di chi ha vinto lo sconforto trasformandolo in grinta, è Sabrina Marchetti, mamma di Alex e presidente dell’Associazione.
Come nasce l’associazione “Crescere insieme”?

“Nasce, come molte associazioni, per volontà dei genitori. La necessità è nata dal bisogno di mettere insieme un progetto di vita specifico per i ragazzi con la sindrome di Down. Non volevamo fare un’associazione dove ci si piangesse addosso, autoreferenziale, dove si facesse solo attività per i nostri figli con gli occhietti a mandorla. L’obiettivo era integrare la loro vita con quella delle altre persone. Abbiamo sempre lavorato facendo in modo che tutto venisse fatto per il territorio e questo ci ha portato ad aprirci ad altre patologie correlate al ritardo mentale”.

Quali sono le attività promosse dall’associazione?

“Si tratta di progetti nati dall’esperienza dei genitori, dalle difficoltà incontrate nel percorso di educazione dei propri figli. Il nostro impegno principale è rappresentato dal progetto ‘’Percorsi riabilitativi per persone con sindrome di Down’, condiviso dall’Ausl di Rimini, al centro del quale c’è il CRM – Centro per il Ritardo Mentale, coordinato dal dott. Enrico Savelli, a cui l’associazione contribuisce attraverso il conferimento di figure professionali con competenze di psicologo, come la dott.sa Patrizia Rinaldi, affiancata da un’equipe di psicologi ed educatori a carico dell’Ausl. I genitori, infatti,i sono spesso disorientati, non sanno a chi rivolgersi e cosa chiedere, perché viene fornita loro poca informazione. Lo scopo è dare alle famiglie un orientamento sui percorsi migliori da seguire”.

Ci sono percorsi specifici per adulti e adolescenti?

“Per gli adolescenti c’è ‘In riviera tutto l’anno’, dove educatori e psicologhe aiutano i ragazzi con la sindrome di Down ad inserirsi nella classe. Per l’età adulta, invece, il progetto dell’Ausl ‘Indipendente – mente’ a cui abbiamo contribuito e continuiamo a contribuire e al quale abbiamo affiancato ‘Una casa per noi’, il percorso per insegnare ai ragazzi a cavarsela da soli. Il progetto, finanziato dai piani di zona e dall’associazione, prevede che i ragazzi, seguiti da degli educatori, passino quattro giorni a settimana in un appartamento per sperimentare vita autonoma. È già da tre anni che portiamo avanti questo progetto e abbiamo ottenuto bellissimi risultati. Il passo successivo è inserirli nel mondo del lavoro e a questo proposito, da circa un mese, è partita una formazione lavoro ai servizi turistici per far emergere le attitudini di ciascuno di loro. Abbiamo attivato anche una collaborazione con l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma che il 19 aprile si concluderà con un aggiornamento rivolto a personale Ausl e ai genitori per parlare di logopedia specificatamente per la sindrome di Down. Tutti percorsi che ci auguriamo possano proseguire anche i prossimi anni. Sono tanti i sogni nel cassetto, ma è difficile realizzarli tutti”.

Soddisfatti degli obiettivi raggiunti?

“Non pienamente. Ci siamo resi conto che l’impegno che abbiamo messo non ha una controparte. Ci aspettavamo, da parte dell’Ausl, che ci si credesse un po’ di più. Il Centro per il Ritardo Mentale voleva essere, nelle nostre intenzioni, il perno coordinatore di tutti gli interventi fatti, in tutti gli ambiti, sulla persona con sindrome di Down, per costruire il progetto di vita. Qualcosa che la prendesse in carico dalla diagnosi prenatale all’età adulta. Quando il progetto ha preso il via, l’associazione si è fatta da parte per far proseguire l’Ausl, ma da quel momento non c’è stata evoluzione”.

Cosa significa avere un figlio con la sindrome di Down?

“Il segreto sta nel tipo di approccio. Ci sono genitori che si recepiscono la cosa e si rimboccano le maniche. Altri che si lasciano andare, senza accettare la cosa. Il figlio è capace di darti tanto, ma devi essere disposto a leggere ciò che ti sta comunicando. È un dare e ricevere”.

Per un fratello invece?

“Si trova a vivere un’esperienza speciale, di cui spesso gli stessi genitori non sono nemmeno a conoscenza. Come il fatto di essere geloso di un fratello di cui non può essere geloso. E questo vale sia per i maggiori che minori”.

Si dice che le persone con sindrome di Down siano più sensibili. È vero?

“Si approcciano alla vita con la convinzione che la favola abbia sempre un lieto fine e se c’è il finale negativo si accontentano. Sanno godere di quello che hanno. Questo è forse la cosa più importante che dobbiamo imparare da loro. Ma sono anche capacissimi a fare i ruffiani per ottenere quello che vogliono”.

E quando pensano al futuro, come al matrimonio?

“È sbagliato rispondere con frasi del tipo: ‘No non pensarci’ o ‘Sì adesso ci pensiamo’. La risposta giusta è : ‘Se arriverà il momento, se incontrerai la persona giusta’. Così com’è giusto che sia per tutti noi, d’altronde”.

Il 21 marzo si è celebrata la settima giornata mondiale della sindrome di Down. Cos’è cambiato in questi anni?

“Un po’ di cose sono cambiate, ma la strada è ancora lunga. Il giorno della giornata mondiale c’erano tutti gli spot delle persone con la sindrome di Down. Adesso vediamo se l’anno prossimo faranno vedere quelli realizzati normalmente e non solo per la specifica giornata”.

Rapide informazioni sulla Sindrome di Down

La sindrome di Down è una delle più note patologie prodotte da un'anomalia negli autosomi. Il nome deriva da John Langdon Down che ha descritto la patologia nel 1866, usando il termine idiozia mongoloide basandosi sull'aspetto del viso dei pazienti, che richiama vagamente quello delle popolazioni asiatiche orientali appartenenti al ceppo mongolico. La denominazione di Down va intesa nell'ambito di una teoria razzista allora molto diffusa nella medicina occidentale, che attribuiva ad ogni patologia mentale il "declassamento" verso una di quelle che erano all'epoca considerate "razze inferiori"[1]. Altro termine utilizzato per alcune tipologie della sindrome è trisomia 21.

Nel 1959 Jerome Lejeune scoprì che la sindrome di Down è causata dalla presenza di un cromosoma 21 in più (o parte di esso), da qui la definizione di trisomia 21 come sinonimo della sindrome stessa. Circa nel 95% dei casi, la causa di questa anomalia genetica è la mancata disgiunzione dei cromosomi che si verifica durante una delle divisioni meiotiche che portano alla formazione dei gameti della madre; ne consegue che lo zigote avrà un assetto di 47 cromosomi, con un cromosoma 21 soprannumerario in tutte le cellule dell'individuo affetto, anziché il normale numero diploide di 46 cromosomi.
La sindrome può essere causata anche da un altro tipo di mutazione: la traslocazione robertsoniana, in uno dei due genitori in cui un braccio del cromosoma 21 si fonde ad un altro cromosoma acrocentrico (di solito il cromosoma 14). Gli individui portatori di tale traslocazione sono fenotipicamente normali, ma presentano un'elevata probabilità di avere figli con sindrome di Down (forma familiare). Quest'ultima forma è indipendente dall'età della madre.
Un'altra forma, diversa dalla prima che è caratterizzata dalla presenza di 47 cromosomi in tutte le cellule dell'individuo, è caratterizzata dalla mancata disgiunzione in una delle mitosi che avvengono dopo la formazione dello zigote. L'individuo è caratterizzato da mosaicismo, cioè da due popolazioni cellulari, quella con 47 cromosomi e quella con il normale numero di 46. Questa forma sarà più lieve quanto maggiore sarà il numero delle cellule con un numero normale di cromosomi.

La sindrome di Down comporta situazioni diverse di rallentamento dello sviluppo, ma in genere non preclude possibilità allo stesso: è possibile una buona integrazione e convivenza.
Gli individui mostrano grandi differenze nello sviluppo linguistico e psicomotorio e intellettivo, di conseguenza variano le speranze di integramento nel mondo lavorativo. La speranza di vita, una volta considerevolmente inferiore ad oggi, varia a seconda del paese ma negli ultimi decenni è clamorosamente aumentata, sicché non è raro che l'interessato raggiunga i sessant'anni ed oltre.

Interessa tutte le etnie, sia maschi che femmine e si manifesta (incidenza) in un caso ogni 700-1.000 nati vivi. Molti di più sono i concepimenti che riguardano la trisomia 21, dato che 3 casi su 4 si concludono con un aborto o con la nascita di un/a bambino/a morto/a. Se questo non avvenisse il rapporto sarebbe attorno a 1:200 circa.